Il percorso psicoterapeutico come processo di individuazione

Il percorso psicoterapeutico come processo di individuazione

Anna è una donna di quarant’anni, vive e lavora in un piccolo centro, è sposata da dieci anni – fidanzata da dodici-, ha due figlie, la prima di dieci anni, la seconda di cinque, abita nella casa familiare della sua famiglia di origine – lei al piano terra, sopra i genitori, sopra ancora uno zio paterno-, suo fratello vive in paesino limitrofo.

Anna arriva da me in studio circa un anno e mezzo fa a causa di una profonda crisi esistenziale. Ha tradito il marito e lui, dopo averlo scoperto, cade in uno stato d’animo disperato e la supplica di coprire l’evento e andare avanti col matrimonio. Anna non sa cosa fare, è lacerata dai sensi di colpa e vedere il compagno in quello stato le crea ancora più confusione.

Inizia il percorso terapeutico con questo grande conflitto interiore tra il non rinunciare al nuovo amore – Anna si è innamorata di un altro uomo e questo le crea tanta fatica, fatica a sostenere il giudizio altrui (anche della gente in paese) e il proprio, anch’esso molto severo, e il mantenere fede al vincolo stretto col marito. Il peso della responsabilità di “rompere” la famiglia è per lei abbastanza insostenibile, per questo per mesi Anna continuerà a seguire le onde umorali del marito senza prendere una posizione definita sul da farsi.

Anna è una donna molto buona, allo stremo della remissività. Vissuta prima nell’ombra delle scelte dei suoi genitori e ora in quelle del marito, sta cercando per vie contorte, una strada per definirsi.
Lui abituato ad una donna accondiscendente e insicura non riesce più a capire e a riconoscerla, lei da parte sua, non riesce più a tacere la sua necessità di cambiamento.
Anna è satura di sentirsi in un angolo, di sentirsi sminuita dal marito che la zittiva per sottolineare “che non capiva niente”.

Il tradimento è stata l’occasione per conoscere un altro tipo di amore ma soprattutto per dire che quell’equilibrio di quel matrimonio non era più funzionale e sostenibile.
Anna ha bisogno di definirsi, di conoscere se stessa, di diventare più consapevole di come si muove nel mondo e nelle relazioni.
Il percorso terapeutico è proprio questo, un processo che l’ha aiutata ad individuarsi.
Un po’ come succede nell’arte quando i bozzetti piano piano prendono forma e vita durante il processo di lavoro artistico. L’artista non sono io, anche se lei lo avrebbe voluto tanto, ma non le avrei fatto un regalo scegliendo al suo posto. Io come terapeuta l’ho presa per mano per fare un pezzo di strada insieme dandole una direzione.
La direzione è verso se stessa, verso il potersi amare e diventare più protagonista attiva della propria vita.

Tenendo questa rotta, prima ho sostenuto Anna nel turbine dei pianti, delle discussioni, delle notti insonni che viveva col marito, entrambi molto sofferenti e combattuti sul da farsi. Lei inizialmente era pronta a rinunciare, illudendosi che il tempo avrebbe cambiato i suoi sentimenti e trasformato il marito. Io ho tenuto la rotta, anche perché durante le sedute Anna era tutta protesa a guardare il marito, a raccontare cosa lui provasse e a dire cosa lui volesse, dimenticandosi completamente di se stessa, terrorizzata all’idea di far soffrire lui e le bambine.
Dopo un lungo tempo, Anna è riuscita a dare voce ai suoi bisogni e al suo desiderio: separarsi e potersi vivere un amore diverso.

Qui si apre un grande capitolo di lavoro, poiché Anna non sa molto come si faccia. Sì, ad atto pratico lui cambia casa, si contattano gli avvocati ecc, ma con il cuore come ci si separa? Questa è una lingua sconosciuta per Anna. Come separarsi da un uomo a cui lei aveva affidato quasi tutta la gestione della sua vita e quella familiare, a cui aveva delegato se fosse o no una donna che potesse valere qualcosa.

Qui entrano in campo i confini generazionali della storia di Anna. Questi erano abbastanza inesistenti sia nel sistema coppia col marito, sia con le figlie, sia con la sua famiglia d’origine.
Quando saltano questi confini, viene a mancare una sana distanza tra ciò che è proprio e ciò che è dell’altro, questo crea confusione emotiva e difficoltà a fare scelte sufficientemente libere.
Mettere un confine significa in qualche modo definire il proprio spazio per non perdersi in una continuità con l’altro.

Durante il percorso terapeutico, anche la dolorosa malattia, e successivo lutto, della madre diventerà per lei un’opportunità: dalla sofferenza di sentirsi “scoperta” senza la presenza gigantesca e rassicurante della madre, Anna riscoprirà la libertà di fare scelte proprie senza il timore “di ciò che avrebbe pensato mamma”.

Il dolore se attraversato può donarci un insegnamento, può condurci sulla strada dell’amore, l’amore per noi stessi che ci nutre quotidianamente e che ci permette di sentire le nostre gambe solide e stabili sul cammino della vita.
Le separazioni fanno crescere. Se ci pensiamo, tutta la vita è un susseguirsi di perdite e di separazioni. Sono necessarie per fornire il terreno alla conquista di un pezzo nuovo di noi, più maturo e più funzionale alle sfide della vita.

Così come la nostra esistenza scorre in questo movimento dinamico tra appartenenze e separazioni, così procede il percorso terapeutico verso la conoscenza di se stessi, verso scelte consapevoli, verso l’incontro con l’amore che muove noi e le nostre relazioni.

Questa storia è inventata ma prende ispirazione dalle persone che incontro ogni giorno nel mio lavoro.